giovedì 19 marzo 2009

La corsa d'inverno

È bello uscire all’alba e correre al buio: per scaldarmi uso l’i-pod, c’è pure un berretto bianconero che mi aiuta a non perdere gli auricolari; poi i guanti e il pile, ovviamente braghe lunghe. I primi minuti sono spesi a scaldare il corpo, ne servono ancora molti per scaldare le mani. Fare attenzione se compaiono dei fari in lontananza, corro sul ciglio per difendermi dalle rarissime automobili, ma anche in cerca di un terreno morbido per le mie gambe indurite dalla bicicletta. Se c’è nebbia è anche più bello, senza musica, sento il silenzio bianco che mi circonda; il passo viene attutito, umidità assoluta, sento le ciglia bagnate quando chiudo gli occhi. Dopo diversi km, quando tutto comincia a girare a dovere, ecco la luce. Arriva l’alba, lentissima e improvvisa, sotto sforzo rischio di perdermi l’attimo.

Più avanti nella stagione esco ed è già luce, allora accorcio le braghe, mi alleggerisco dappertutto, evito pure la musica che mi cade continuamente dalle orecchie; via guanti e berretto. Adesso non c’è nebbia, non c’è troppo freddo, le stelle sono brillanti e il sole sale lento come la corsa; ombre lunghissime mi corrono al fianco, ora nel fiume, ora sull’argine, infine davanti: mi guardo che corro.

All’alba percorro dai 9 ai 12 km, meno di un’ora, senza forzare. Ho buttato via il cronometro per difendere la mia gamba sinistra sfinita dai continui infortuni, corro piano e ascolto le risposte del corpo.

Posso correre anche quando piove, anche quando nevica, più dura correre contro vento. Sotto la pioggia è questione di abitudine. Quando parto mi sento un cretino, poi comincio a bagnarmi più dentro col sudore che fuori con la pioggia. Alla fine mi abituo e cresce la sensazione che stia spiovendo: non è così, ma la pioggia non fa più effetto ed è allora che capisco che valeva la pena uscire sotto il diluvio. 

Nessun commento: